09 Novembre 2014

San Leonardo Confessore (Linarolo), 09 Novembre 2014

Carissimi Parrocchiani,

 dopo aver riferito circa il contesto, entriamo ora direttamente nella vicenda di Mosè: al capitolo 2 del libro dell’Esodo troviamo il racconto della sua nascita. Inizia dicendo che un uomo della famiglia di Levi andò a prendere in moglie una discendente di Levi e che la donna concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi (Es 2,1-2).

La nascita di Mosè avviene nel momento in cui, a motivo della decisione del faraone, è scoppiata una vera tragedia per i figli di Israele: Ogni maschio che nascerà agli ebrei, lo getterete nel Nilo, così si legge in Es 1,22. Questo spiega il particolare del nascondimento del bambino. Protagonisti di questa nascita ‘trasgressiva’ dell’ordine del faraone sono dei personaggi umili, anonimi, genericamente qualificati come un uomo della famiglia di Levi e una discendente di Levi: sono persone che non si lasciano intimidire dal dettato del faraone e, dalla loro unione, nasce un figlio.

Interessante, la precisazione sulla bellezza del bambino: era bello, così come ‘belle’ sono qualificate nel libro della Genesi tutte le creature uscite dalla mano di Dio nel momento della creazione. Questa nota sulla bellezza che rimanda all’inizio della creazione sembra voler dire che con questo bambino Dio sta avviando qualcosa di nuovo che somiglia all’originaria opera creativa. E, in effetti, sarà proprio così. Attraverso di lui Dio verrà plasmando il suo popolo, Israele. Dunque, Dio ancora una volta – come già ai tempi di Noè – interviene per ridonare ordine e luce ad umanità che rischia sempre di lasciarsi confondere dalle tenebre del male.

Ma ecco che cosa accade. La donna non potendo tenerlo nascosto più oltre, prese per lui un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece, vi adagiò il bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo, mentre la sorella del bambino si pose a osservare da lontano che cosa gli sarebbe accaduto (Es 2,3-4).

Sopraggiunge proprio in quel frangente la figlia del faraone che scendeva al Nilo per fare il bagno: vede la cesta, l’apre, trova il bambino, si rende conto che è un bambino degli ebrei (Es 2,6), si commuove e decide di prendersene cura affidandolo ad una nutrice. A questo punto, si fa avanti la sorella del bambino che chiede alla figlia del faraone se deve chiamare una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per lei il bambino. La risposta è positiva e il bambino – ironia della sorte – viene affidato proprio alla madre. Così, una volta svezzato, Mosè – questo è il nome che la figlia del faraone aveva voluto dare al bambino per ricordare che ella lo aveva salvato dalle acque – viene portato a corte, dove cresce sotto la protezione della figlia del faraone che lo considera come un proprio figlio.

Questo è il singolare inizio della vicenda di Mosè sul quale è utile fare qualche considerazione. Ma rimandiamo alla prossima volta.

don Luigi Pedrini