San Leonardo Confessore (Linarolo), 22 Settembre 2013
Carissimi Parrocchiani,
dopo aver risposto alla prima domanda (che cosa avrebbe potuto fare Giuseppe?), passiamo ora alla seconda domanda: che cosa, in realtà, ha fatto Giuseppe?
Il testo lascia capire che Giuseppe ha posto la sua fiducia nel Signore. Infatti si legge:
Il padrone di Giuseppe lo prese e lo mise nella prigione, dove erano detenuti i carcerati del re. Così egli rimase là in prigione.
Ma il Signore fu con Giuseppe, gli conciliò benevolenza e gli fece trovare grazia agli occhi del comandante della prigione (Gen 39,20-21).
Dunque, Dio è con Giuseppe, con la sua disgrazia. Ma questo lascia capire che anche Giuseppe era con il Signore.
In secondo luogo, abbiamo ragioni valide – come annota il Card. Martini – per pensare che Giuseppe in prigione abbia pregato e non solo per sé, ma anche per la sua famiglia: per Giacobbe, Beniamino, gli altri fratelli. Senza la preghiera non si spiegherebbe il fatto che Giuseppe saprà, poi, accoglierli, con tanta bontà, fino alla commozione e alle lacrime. E’ pressoché impossibile senza la preghiera continuare a voler bene a persone che ti hanno fatto del male.
È significativa, in proposito, questa testimonianza del Card. Martini:
Non sto cercando di immaginare. Ricavo l’atteggiamento di Giuseppe da quello di tanti detenuti che mi scrivono spiegandomi come e per chi pregano, come meditano la parola di Dio, come continuano a portare affetto ai loro familiari che magari non vanno a trovarli, proprio grazie alla preghiera” (C. M. Martini, Due pellegrini per la giustizia, p. 143).
In terzo luogo, Giuseppe in prigione deve aver iniziato un paziente lavoro di rilettura della propria vita, cercando di capire tutto quello che gli era accaduto, di discernere il disegno di Dio su di lui e, quindi, ricomprendere in modo nuovo la sua vita.
Dà conferma a tutto questo il fatto che Giuseppe sia in grado di interpretare i sogni. Questa particolare sensibilità e competenza è indice di un uomo che non ha perso l’allenamento a interpretare la vita e che vuole capire l’ordine e il senso degli avvenimenti.
Prima di essere fatto prigioniero, Giuseppe, nel succedersi concitato degli avvenimenti, non aveva avuto molto tempo per riflettere; ora, in prigione, può dare spazio a questo paziente lavoro di lettura dei fatti e di ciò che Dio va realizzando nella sua vita.
Così, la prigione è stata per Giuseppe un momento ulteriore di purificazione nella fede in quel Dio che sa ricavare il bene anche dal nostro male.
Don Luigi Pedrini